La nascita del Partito democratico avrebbe dovuto portare in Italia, quella forza riformista che secondo il suo segretario Veltroni, è mancata negli ultimi anni, questo a causa della sinistra comunista e socialista che avrebbe ripetutamente ricattato l’operato dell’Ulivo prima e del Governo Prodi poi. Dunque il correre da soli, emarginando la vera sinistra, ad un cantuccio senza tetto, avrebbe portato quel valore aggiunto capace di far volare il Pd alle elezioni politiche del 13 e 14 aprile. Questo non è avvenuto. E’ avvenuto proprio il contrario: le elezioni sono state una debacle, grazie al buonismo di Veltroni verso Berlusconi e all’accanimento verso la Sinistra Arcobaleno, e il Campidoglio, roccaforte del centro-sinistra da almeno 15 anni, è andato alla destra, sempre meno moderata e sempre più fascista. Ora la domanda da porsi, per noi, è quella di chiedere il perché di questo drastico cambiamento. Perché l’Italia ha accettato il vento di destra? Come militante comunista e come militante di sinistra ferito dalla catastrofe della Sinistra Arcobaleno, faccio autocritica e guardo avanti, verso un orizzonte lontano e frammentato, verso la possibilità di creare ciò che la società italiana chiede: la sinistra operaia, popolare che entra in fabbrica e agita le piazze, quella che muoveva il movimento studentesco e femminista, quella che aveva una posizione orizzontale, non verticale, quella che batteva il pugno quando nei posti di lavoro si moriva e non era successo niente. Queste sono le cause di una morte preannunciata, di un collasso quasi inevitabile. La sinistra cessa di esistere quando perde coscienza di sé.
Il terremoto spinto dal governo Prodi, la propaganda veltroniana del “voto utile”, lo spostamento del ceto popolare e operaio verso la Lega, hanno suscitato il rancore di chi si aspettava che la S.A, fosse realmente qualcosa di diverso , qualcosa di nuovo. “L’Arcobaleno è stato percepito come il logo che copriva cose vecchie. E anche probabilmente inefficaci rispetto all’agire politico” spiega Vendola. Il piangersi addosso, in un momento così delicato, è controproducente. Quello che serve, ora, è l’imperativo “ripartire”, che però si divide in due percorsi: il primo è quello di consolarsi, con costituenti comuniste, sbandierando i vecchi simboli e riproponendo schemi tradizionali del passato, il secondo, invece, è quello che pone le fondamenta della costruzione di una fabbrica, un luogo aperto a una nuova soggettività nella quale si possa dibattere con questioni e con risposte del XXI secolo. La prospettiva utile per la sinistra, è quella della “Sinistra Unita Senza Aggettivi”, capace di trasformare, plasmare ciò che si è perso negli ultimi vent’anni. Riportando la sinistra ad essere, quella “forza propulsiva” che non solo era partito politico, ma movimento di massa. Tutto il resto è aggrapparsi al passato. Coprirsi di antichità e ritornare al Novecento.
Giancarlo Balbina
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