mercoledì 12 marzo 2008

Immigrato per passione?


Hai visto quel rumeno (immigrato irregolare ovviamente) che ha rapinato due ragazze in centro puntando un coltello in gola a una di loro? Non si può più star tranquilli nemmeno nelle nostre vie, nelle nostre case. Assurdo. Questi immigrati vengono a casa nostra, delinquono e ci rubano pure il lavoro!!
Caro italiano medio che non brilli per lungimiranza e che non sei amico del sapere,
ti sei mai chiesto del perché un immigrato lasci il suo paese d’origine per giungere in uno straniero in balia spesso di malavitosi? O del perché (forse stanco di essersi visto sbattere ripetutamente la porta in faccia dai datori di lavoro, o peggio di essere sfruttato e sottopagato e costretto a condizioni lavorative precarie e insicure) cada nelle losche reti della delinquenza urbana? Perché non pensi prima di puntare il dito contro qualcuno? Ragiona. Ragioniamo.
Gli immigrati che giungono nel nostro paese sono davvero così come ce li descrivono i nostri amati mezzi di informazione?
Se si fa bene attenzione si può notare come i giornali siano delle ottime palestre per rinforzare idee apocalittiche e a volte anche un pò razziste e catastrofiste di cittadini e opinione pubblica. Innanzitutto lo si nota dai contenuti stessi degli articoli. Il 21 luglio 2000 ad esempio il Corriere della Sera pubblica un articolo dove si afferma che la maggior parte dei furti al centro nord avviene per mano di immigrati. L’anno dopo la notizia viene smentita dal Ministero dell’Interno, ma ormai è troppo tardi.
Un sondaggio di quell’anno dice che il 74% degli Italiani associa alla parola immigrato quella di delinquente. Sarà forse un caso? Certo, i fatti a sostegno di ciò non mancano, ma nei giornali il tutto viene spesso arricchito con un sottile e impercettibile uso di esposizioni strategiche, un linguaggio e una semantica mirati. Vediamo alcuni esempi: nell’indicare una cosa non familiare, straniera, si tende in linea di massima a seguire due modi: uno consiste nell’includere il nome riguardante "l’altro" nel vocabolario dei nativi, ovvero si mantiene il nome nella lingua originale, il secondo nell’imporre un nome già esistente nel vocabolario della società "ospitante", nel nostro caso si tratterebbe di italianizzare il termine straniero. La prima caratteristica è tipica di una società aperta al confronto e all’innovazione culturale, la seconda è tipica invece di una società rigida e restia al contatto con il "diverso", posizione che in casi estremi può portare ad atteggiamenti di tipo etnocentrico.
Un altro tratto curioso è il modo di trattare il pensiero della persona che parla o di cui si parla. Dall’analisi di alcuni quotidiani nazionali si rileva che quando si parla di "noi" si pone sempre molta attenzione nell’esposizione dei pensieri e delle opinioni, quando invece si tratta di "loro" ci si può permettere di argomentare più speditamente. Sembra banale, ma i giornali fanno questo attraverso l’uso delle virgolette. Ovvero, tendono a citare esattamente le parole dell’intervistato, se la persona in questione è un’autorità, un appartenente alle forze dell’ordine o ad una associazione ecc. (strategia della deferenza), mentre tendono a fare uso del discorso indiretto se il soggetto in questione è un immigrato, per interpretarne il pensiero, oppure usano le virgolette riportando la citazione esatta ma lasciano trasparire una nota di diffidenza e di delegittimazione di quanto detto, in quanto parole proferite da un immigrato, ergo extracomunitario (strategia dell’incredulità).
I giornali non osano interpretare il pensiero del "potere", ma non pongono paletti di fronte agli immigrati.
Lunga vita alle società aperte e riflessive come la nostra!



Nadia Frau

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