di Oliviero Diliberto
Le rivolte che si stanno susseguendo in tutto il Nord Africa hanno un tratto comune, ma ciascuna ha una propria specificità. Per quanto riguarda Egitto e Tunisia, la grande maggioranza dei manifestanti chiedeva innanzitutto pane, viste le condizioni di miseria totale in cui versavano decine di milioni di persone. Intrecciato a ciò, vi era da un lato il desiderio di democrazia nelle parti più intellettualmente avanzate della popolazione, nonché anche pezzi di islamismo non necessariamente fondamentalista ma sicuramente cresciuto in misura potente negli ultimi decenni soprattutto in Egitto.
In particolare nella crisi egiziana sono stati colti alla sprovvista i due principali alleati: Usa e Israele (e anche l’Anp non ci ha fatto una gran figura…). Gli Usa hanno provato la carta di El Baradei che in Egitto, però, non conta, e non escludo che possano sotterraneamente tentare di trattare persino con i Fratelli Musulmani pur di mantenere il controllo essenziale del canale di Suez. Ma mi permetto di ricordare a tutti la storia dell’apprendista stregone che evoca forze che poi non riesce a controllare: basti pensare che Bin Laden e il Mullah Omar erano stati sostenuti, finanziati ed armati dalla Cia in funzione antisovietica. E poi si sa come è andata a finire…
Viceversa in Libia la situazione è parzialmente diversa. Il reddito pro capite è maggiore rispetto agli altri paesi, anche perché la Libia è più ricca di materie prime. Ancorché di quelle ricchezze ne godano in pochi.
Sicuramente anche in Libia si è sentita la crisi economica che ha scatenato la protesta di tutti i paesi del Nord Africa, in particolare l’impennata del prezzo dei cereali e il conseguente aumento del pane.
Io ho l’impressione che un pezzo del gruppo dirigente non fosse più d’accordo con la politica di Gheddafi, ormai non più antimperialista, com’era invece stato in passato (molti del gruppo dirigente vengono dalle fila dell’esercito e si sono formati proprio sul mito della resistenza anticolonialista ormai ridotta invece in Gheddafi a mero orpello retorico).
Depone a favore di questa ipotesi la dissociazione di importanti esponenti del governo e dell’esercito libico rispetto alla repressione di questi giorni: il rappresentante libico dentro la Lega Araba con sede al Cairo, Abdel Moneim al-Honi (personaggio importantissimo perché era uno degli undici ufficiali libici che insieme a Gheddafi deposero il re Idriss nel 1969 prendendo il potere), si è dimesso e unito agli insorti; il ministro della Giustizia si è dimesso; addirittura vi sono voci su un possibile arresto del ministro della Difesa.
La crisi libica ha dunque sbocchi oggi imprevedibili anche perché, contrariamente agli altri Paesi del Nord Africa, Gheddafi ha scelto la linea del massacro del suo popolo pur di rimanere al potere (ed uno dei motivi del crescente malcontento dei gruppi dirigenti era anche l’ipotesi di successione dinastica di uno dei figli di Gheddafi, che non a caso sono tra i protagonisti della repressione).
In definitiva in tutto il Nord Africa il ruolo chiave è rappresentato dagli eserciti. In Egitto e in Tunisia hanno il controllo del Paese. In Algeria vi è già una sostanziale giunta militare al potere che non a caso ha controllato meglio la situazione rispetto agli altri due Paesi.
Gli scenari sono imprevedibili. L’unica cosa certa è la figuraccia internazionale che sta facendo l’Italia per quanto riguarda la Libia ma non solo. Con un altro governo e un’altra classe dirigente noi potremmo giocare un ruolo chiave nel Mediterraneo per agevolare la cooperazione economica e lo sviluppo di istituzioni democratiche, senza alcuna forma di presunzione occidentale, perché ciascun popolo deve scegliersi le proprie forme di democrazia.
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