giovedì 26 marzo 2009

La Russa, «i partigiani rossi volevano la dittatura comunista. Con loro non celebro il 25 aprile»

E intanto a Milano si prepara l'adunata europea dei nazifascisti. Proteste dell'Anpi

«Per me i partigiani non sono tutti uguali». Alla vigilia del 25 aprile, data storica che ha segnato la liberazione dell'Italia dall'occupazione nazi-fascista, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, rilascia dichiarazioni provocatorie su una delle fasi più oscure della storia del nostro Paese.

Nonostante la carica di ministro della Repubblica, non dimentica la sua militanza missina, il suo ancoraggio ideologico al regime fascista. E seppur costretto a riconoscere il «grande valore della Resistenza che ha contributo a ridarci libertà e democrazia» non manca di sottolineare la «profonda differenza tra i partigiani bianchi e quelli che volevano la dittatura comunista». E lo dice mentre nel suo stesso campo c'è chi, come Gianfranco Fini, dall'alto della sua veste istituzionale torna sui suoi passi e disconosce opinioni scomode, ormai lontane dal percorso storico intrapreso. Arrivando fino a ritrattare il ruolo di «più grande statista del Novecento» attribuito a Benito Mussolini.

Su posizioni diverse sembrano trovarsi oggi i due militanti del Movimento sociale italiano, protagonisti del congresso costituente di Alleanza nazionale e ora traghettatori del partito dalla svolta di Fiuggi a quella della Fiera di Roma. Confluire nel Pdl, spogliandosi di tutti i vessilli del passato e vestendo abiti perbene, questo il prezzo che sono chiamati a pagare gli ex fascisti per entrare a far parte del «polo» di potere berlusconiano.

Ma i rigurgiti, se non l'orgoglio di quella tradizione - e magari il consenso elettorale di qualche camerata nostalgico - è dura a morire. E così La Russa non si lascia sfuggire l'occasione per prendere le distanze da uno Stato democratico fondato sulla lotta delle forze di liberazione nazionale. Uomini e donne che decisero di mettere in gioco le loro vite per un futuro fatto di diritti, di garanzie, di libertà, di pace. «Parteciperò alle celebrazioni che il presidente della Repubblica ha deciso di fare non con i partigiani ma con i militari che aderirono alla guerra di Liberazione». Perché i partigiani che combatterono contro i fascisti e poi i nazisti erano comunisti. Non tutti ma la maggior parte. Perché i comunisti combatterono in Italia la battaglia antifascista, una scelta di campo che pagarono molto spesso con la vita.

C'è chi sta tentando, con le armi del più bieco e cialtrone revisionismo, di relegare fascismo e antifascismo a categorie storiche, lontane dal nostro presente. Andare al di là dei semplicismi dello scontro ideologico è la parola d'ordine di chi vuole imporre e legittimare un «pensiero unico» privo di conflittualità. Concordia sociale invece che lotta di classe, secondo un disegno condiviso internazionalmente tra Confindustria e governo.

Oggi la lotta antifascista è quanto mai attuale, è necessario costruire un fronte di mobilitazione comune e condiviso che non dia spazio a derive autoritarie. Bisogna appoggiare l'Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) di Milano nella sua battaglia per vietare il raduno internazionale convocato da Forza Nuova. In piazza San Babila a Milano, sabato 5 aprile, si sono dati appuntamento tutti movimenti di estrema destra europei, come il francese Front National di Jean Marie Le Pen, la tedesca Ndp di Udo Voigt e il Miep ungherese. «Una provocazione inaccettabile e vergognosa» la definisce l'Anpi che si appella alle norme costituzionali e alle leggi Scelba e Mancino.

Noi ci uniamo alla loro lotta, oggi come allora. Sempre dalla stessa parte, dalla parte dei nostri partigiani.

s.b.

(26.03.09)

da "La Rinascita della Sinistra"

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