mercoledì 6 luglio 2011

Se potessi avere mille euro al mese

di Italo Arcuri

“Se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare, sarei certo di trovare la felicità!”… Era il 1939 e Gilberto Mazzi canticchiava così la speranza di un italiano medio di quegli anni. Chissà come Mazzi canterebbe oggi quel ritornello, alla luce dei risultati del primo anno di lavoro del progetto "Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali" di Censis e Unipol. Studio che proietta un’immagine sociale futura del nostro Paese da far tremare le vene ed i polsi.


Secondo questo studio, infatti, il 42% dei lavoratori dipendenti tra i 25 e i 34 anni di oggi intorno al 2050 andrà in pensione con meno di mille euro al mese. I dipendenti in questa fascia di età che attualmente guadagnano una cifra inferiore a mille euro sono il 31,9%. Ciò significa che in molti si troveranno ad avere dalla pensione pubblica un reddito addirittura più basso di quello che avevano all’inizio della propria carriera lavorativa. E la previsione riguarda i più 'fortunati', cioè i 4 milioni di giovani oggi ben inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard: poi ci sono un milione di giovani autonomi o con contratti atipici e 2 milioni di giovani che non studiano né lavorano”.

Si torna, dunque, a parlare di pensioni. Se le riforme delle pensioni degli anni '90 hanno garantito la sostenibilità finanziaria a medio termine del sistema, oggi preoccupa il costo sociale della riduzione delle tutele per le generazioni future. A fronte di un tasso di sostituzione del 72,7% calcolato per il 2010, nel 2040 i lavoratori dipendenti beneficeranno di una pensione pari a poco più del 60% dell'ultima retribuzione (andando in pensione a 67 anni con 37 anni di contributi), mentre gli autonomi vedranno ridursi il tasso fino a meno del 40% (a 68 anni con 38 anni di contributi).

A pesare è soprattutto l'incertezza del futuro. Se l'eventualità di essere colpiti da una malattia rappresenta la paura per il futuro più diffusa (preoccupa il 38,4%), la non autosufficienza è il principale timore delle persone con più di 65 anni (53,1%), mentre i giovani temono di più la perdita del lavoro (46,7%). Il valore dell'assegno pensionistico futuro preoccupa meno (solo il 12%) ma non c'è un'idea chiara di quanto ammonterà la propria pensione: quasi il 70% non sa a quanto corrisponderà rispetto all'ultimo stipendio percepito. In soldoni, per sostenersi il 35,6% delle famiglie potrà contare esclusivamente sulla pensione pubblica, mentre solo il 27,5% include nella propria strategia previdenziale anche forme di integrazione, quali fondi pensione, polizze private, rendite da investimenti.

Il quadro di insieme per l’Italia che verrà è più che pessimo. Il problema, come al solito, è la totale sordità di questo governo che, con il ministro del Lavoro Sacconi, invece di capire come rimboccarsi le maniche, lancia addirittura anatemi contro chi fa queste analisi. “Le proiezioni di questo tipo sono molto opinabili – ha detto Sacconi - perché scontano ipotesi di percorsi lavorativi che nessuno può disegnare in un tempo di così straordinari cambiamenti. Sono dati che non capisco – ha aggiunto - neanche la zingara saprebbe disegnare percorsi simili…”.

La palla di vetro, è vero, non ce l’ha nessuna ma se un ministro del Lavoro, al cospetto di un così fosco e inquietante sviluppo sociale, fa simili commenti, persino la zingara a cui Sacconi allude fra decenni potrà dire: “Ve l’avevo detto…”.

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